VYSTOPIA: CAUSE E CONSEGUENZE DI UN CAMBIAMENTO
Quando l’angoscia e l’impotenza diventano caratteristiche tra vegetariani e vegani

A tavola tra familiari e amici, in quelle famose cene in cui ci si sente ormai un po’ inadatti, dopo l’ennesima difficile conversazione senza ascolto, oppure tra barzellette, risate e immagini ben radicate che riappaiono nella mente… questi sono alcuni dei momenti dove vegetariani e vegani provano quelle Emozioni che possono essere racchiuse nel termine di “Vystopia”,
La parola Vystopia è stata coniata dalla psicologa Clare Mann, quando notò il ripresentarsi di determinate emozioni e stati d’angoscia in quei soggetti accomunati dall’avere a cuore il benessere degli animali ed essere consapevoli del loro sistemico sfruttamento.
Su 850 pazienti vegani, l’ 83% presentava uguali sintomi psicologici, tra i più comuni:
- Frustrazione per non riuscire salvare animali e rendere consapevoli i propri interlocutori;
- Rabbia costante;
- Sentimenti di alienazione e isolamento anche all’interno di gruppi abitudinari;
- Disperazione nel non riuscire ad accettare la realtà in cui si vive;
- Impotenza nel non essere in grado di compiere grandi cambiamenti;
- Depressione e sconforto;
- Intenso dolore dato dalla consapevolezza della vastità e quotidianità degli abusi sugli animali.

La discriminazione dei vegetariani, e ancora di più dei vegani, contribuisce ad acuire questi sintomi, peggiorando il quadro clinico.
Il disprezzo e l’emarginazione si possono ritrovare in molte situazioni, comuni e non, come in una comitiva di amici onnivori dove il piatto ricco di cereali e legumi viene deriso, nelle continue e banali ironie di cui sono colme le riviste e la maggior parte dei programmi televisivi, a lavoro, in cerimonie importanti, o semplicemente in famiglia.
Perennemente sotto accusa, giudicati e forzati nell’essere impeccabili, la salute mentale di queste persone è messa continuamente a dura prova.
Grazie al riconoscimento di questa condizione, anche all’interno della comunità psicologica, è possibile trovare sollievo e soluzione.
Vystopia, come affrontarla?

E’ proprio la dottoressa Mann a darci delle opzioni. E’ importante avere delle persone intorno per ricevere supporto, con cui condividere dolori e speranze, senza sentirsi giudicati.
Fondamentale, però, è anche cercare individui o comunità ottimali, perché alcune interazioni con altri vegani e attivisti possono peggiorare l’angoscia a causa delle differenze di opinioni e di tecniche di attivismo, aumentando il senso di alienazione e isolamento.
La ricerca della realtà migliore per le proprie esigenze e i propri bisogni, è parte della guarigione.
Sconfiggere la “disperazione”
Altri due aspetti rientrano nella lotta alla “disperazione”.
Il primo è saper entrare in contatto con le proprie emozioni, con la nostra capacità di gestire stress e di percepire la nostra sofferenza, essere quindi consapevoli di noi.
Il secondo si incentra sulla comunicazione; una relazione verbale e comportamentale adeguata permette di migliorare il nostro impatto verso la causa e, di conseguenza, riduce gli aspetti stressanti e compromettenti dell’iterazione tra persone con opinioni diverse.
Un concetto da non trascurare è quello che in inglese viene definito “entrainment” (lett. trascinamento): ovvero, la considerazione che il cambiamento si muove allargandosi, espandendosi; così, più persone sono sensibili alle scelte vegane e vegetariane, maggiore è il loro impatto e, pertanto, più deboli saranno le conseguenze della vystopia.
Un mutamento simile si sta già verificando e nel giro di pochi decenni, vittorie sostanziali aprono vie a cambiamenti fondamentali. La comunicazione, le comunità più sensibili e rispettose, e il risveglio di un’empatia generale stanno migliorando, permettendo la fioritura dell’Umanità.
Per affrontare al meglio i cambiamenti che ci colgono impreparati, possono esserti d’aiuto i consigli di Lucia Giovannini.
Fonti:
Web: https://veganpsychologist.com/
Libro: Clare Mann – Vystopia, the anguish of being vegan in a non-vegan world.
Claudia Pomponi
Milano, 06/07/2021 – GC
È davvero un articolo interessante, oltre tutto scritto davvero bene, è stato un piacere scoprire questa sfumatura interessante di noi.
Mi chiedo se possa esistere al contrario questa caratteristica, per gli onnivori, oppure se potrebbe riguardare anche altri ambiti.
Quando sono diventata vegetariana anzi praticamente vegana perché sono intollerante ai latticini, ricordo che mi sentivo sempre dire ‘Cosa? Ma perché? ‘ i più educati non commentavano ma purtroppo i commenti erano sempre negativi … Non me ne faccio un motivo di depressione però mi rendo conto che dietro all’alimentazione della carne c’è un totale disinteresse per le sofferenze che provano queste povere creature, questo sì mi reca dispiacere …
Ciao Federico, grazie per il tuo commento.
Anche io mi sono posta la stessa domanda. Esiste una “Vystopia” al contrario?
Forse è possibile che gli onnivori provino emozioni “negative”, come il senso di colpa, la vergogna, l’essere giudicati e via dicendo quando si trovano proprio davanti ai vegani. Nel restante tempo, la società si adatta molto al loro modo di agire, pensare e fare, quindi non dovrebbe provare le emozioni date da Vystopia, almeno per quanto riguarda questo ambito.
Negli altri campi invece, la situazione è diversa. Sperando di non aver inteso male, in situazioni come le discriminazioni di genere, di orientamento religioso o sessuale e oltre, le emozioni negative a esse associate sono riconosciute (o si spera siano riconosciute), al contrario di quello che succede nel mondo veg, dove spesso si etichettano gli attivisti come “troppo sensibili”.
E’ un ottimo spunto di riflessione! Grazie
Ciao Nicoletta, grazie per il tuo commento e la tua condivisione.
Anche io non ho provato emozioni e reazioni così forti, ma ricordo con quanta apprensione (e a volte rabbia) interagivo con le persone in merito alla mia scelta.
Purtroppo in queste discussioni, si cerca di difendere la propria parte e spesso questo accantona il contenuto del messaggio, cioè mostrare la sofferenza degli animali.
Anche se non mi piacciono i termini stranieri,forse perchè non li capisco,devo dire che questo articolo è scritto bene e ha centrato le sensazioni e le difficoltà che ogni vegetariano ha provato, in particolare durante il secolo scorso.
Io ho deciso di non cibarmi più di prodotti animali per una strana circostanza: nel 1953, avevo13 anni, mi ero abituato a leggere l’unico giornale che entrava in casa, il settimanale OGGI, e perciò ho letto una serie di articoli che descrivevano il trasporto, e l’internamento degli ebrei nei campi di concentramento.
Questa lettura e le relative foto mi avevano così commosso che non riuscivo a trattenere le lacrime per quella povera gente che, come ripeteva più volte l’autore dell’articolo, “veniva trasportata su carri bestiame” e “trattata come fossero animali”, ma non saprei distinguere con certezza se la commozione era riferita alle persone o anche al pensiero che gli animali, dopo una vita di stenti e di prigionia, vengono trasportati al macello in condizioni anche peggiori di quelle descritte, ed ero indignato per il fatto che l’autore del racconto sembrava considerare “normale” che gli animali subissero ciò che lui non ammetteva per gli umani.
Da allora ho incominciato ad informarmi come venivano ottenuti quegli ossi buchi e quella carne al latte che mi piacevano tanto e che trovavo già pronti; ci è voluto poco a capire quanto costavano in sofferenza i piatti più buoni ai quali ero abituato, e perciò a rifiutarli, anche se a quei tempi era una lotta con i genitori e col medico, che sosteneva “se non mangi carne non vivrai più di trent’anni”.
Ora tutto è più semplice, e il sapere che ciò che sto mangiando non è costato sofferenza o morte di un altro essere vivente mi dà serenità, anche se la consapevolezza che la natura è il risultato di continue sopraffazioni non mi fa amare la Vita.
Sono convinto che ai ragazzi si debba mostrare l’origine del cibo, e far loro capire il concetto “di non fare ad altri esseri viventi ciò che non vuoi sia fatto a te”; fino a che l’uomo tratterà gli altri esseri viventi senza rispetto perché più deboli, non cesseranno soprusi e guerre fra gli uomini stessi.
Poiché da ogni disgrazia si possono ricavare insegnamenti positivi, mi sarei aspettato che ebrei e cristiani, dopo aver subito persecuzioni e soprusi nel corso della storia, avessero scrupoli a trattare gli animali con la crudeltà e l’indifferenza che loro avevano subito, ma evidentemente l’egoismo umano sente solo il male ricevuto e non quello che fa ad altri.