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PALESTINA SEMPRE PIU’ ANIMALISTA E VEGAN

Veganismo e attivismo animalista in Palestina

Medio Oriente e veganismo

PAL - Palestinian Animal League

Quando si parla di veganismo in Medio Oriente, solitamente si pensa sempre e soltanto a Israele. Paese erroneamente considerato, grazie alla sua efficace politica di “veganwashing”, il Paese più vegano del mondo. Come suo contrapposto i Paesi Arabi, e in particolare la Palestina, sono invece veicolati dallo stesso Israele come Paesi “barbari” i cui abitanti sarebbero crudeli verso gli animali e non si preoccuperebbero minimamente dei loro diritti.

Ma è proprio in Palestina che negli ultimi anni si è verificato ciò che la propaganda vegana israeliana non aveva previsto: i palestinesi hanno dato vita al proprio movimento di liberazione vegana e animale, con la crescente consapevolezza che come la loro liberazione è legata alla liberazione della loro terra dall’occupante sionista, essa è anche profondamente interconnessa con la liberazione delle altre specie con cui condividono quella stessa terra.

Come ha detto Ahmad Safi, fondatore di Palestinian Animal League:

La Palestina non può essere solo la gente, deve essere di più. Deve essere la terra, gli alberi, l’aria, l’ambiente, gli animali e gli uccelli. Tutte queste cose sono elementi che formano la Palestina. La Palestina è incompleta senza tutte queste componenti e quindi il lavoro da fare per proteggere ognuna di queste è contribuire a proteggere il tutto”.

Vegan in Palestina

Occuparsi di animali a Gaza

Numerose sono attualmente le realtà che si occupano di animali nei Territori Occupati e a Gaza, avendo l’obiettivo finale della loro liberazione ma riconoscendo che, in un luogo dove c’è povertà diffusa e dove le persone lottano quotidianamente per la propria sopravvivenza, gli obiettivi immediati sono garantire che gli animali siano trattati bene, aumentando contemporaneamente la consapevolezza su di loro e sulla loro sofferenza.

Accanto quindi alle attività di recupero, cura e assistenza degli animali in difficoltà, vi sono progetti e attività nelle scuole e nelle comunità locali volti a fare comprendere l’importanza della protezione ambientale e del rispetto verso gli animali, con Particolare attenzione alla destrutturazione delle percezioni negative della società palestinese nei confronti degli animali di strada che, nel contesto di abusi e violenza generato dall’esercito occupante, nei bambini spesso si trasformano in gratuiti atti di violenza verso chi è ancora più indifeso e fragile di loro. Nelle comunità rurali si cerca inoltre di fornire conoscenze e strumenti per un migliore trattamento e cura degli animali da lavoro, per lo più cavalli e asini. Contemporaneamente è stato aperto un dialogo con le differenti municipalità per cercare di contrastare le uccisioni di randagi tramite veleno o arma da fuoco con progetti di cattura, sterilizzazione e rilascio.

PAL - Palestinian Animal League

In un contesto difficile come quello di Gaza, opera “Sulala Animal Rescue”, che fornisce rifugio e cure ai randagi e che è stata particolarmente attiva durante l’ennesima e distruttiva campagna di bombardamenti israeliani lo scorso maggio, recuperando e curando decine di animali feriti e traumatizzati.

Essere vegani in Palestina

Riguardo al veganismo, sarebbe auspicabile abbandonare anche qui la visione secondo la quale esso sia una filosofia e una pratica di vita prettamente occidentale.

Infatti, se è pur vero che il termine “vegan” è stato coniato in Gran Bretagna e che in arabo non esiste la parola corrispondente, già nell’XI secolo un poeta di Aleppo di nome Al Ma’arri scriveva quella che può essere considerata la prima poesia vegana, nella quale il poeta esorta a non “rubare” dalla natura cibo di provenienza animale e in cui esprime una straordinaria compassione verso gli animali.

Oggi i termini usati per indicare un’alimentazione plant based sono “siyami”, il termine arabo per indicare il cibo che rientra nei dettami del digiuno cristiano, e “al-khodri “, parola derivata da “khudra”, il termine arabo per verdure.

PAL - Palestinian Animal League

Uno degli aspetti in cui le diete vegane in Palestina affondano le proprie radici sono proprio i digiuni religiosi, sia nella fede islamica che cristiana. Ogni anno, i cristiani palestinesi, come i cristiani di altre parti del Medio Oriente, digiunano durante la Quaresima in preparazione della Pasqua , con il divieto di consumare prodotti di origine animale.

Per i musulmani che praticano la scuola di pensiero sufi Naqshbandi, è raccomandata una dieta vegana per raggiungere l’illuminazione spirituale. L’essere vegani è in linea anche con la morale presente nel Corano, che afferma che tutti gli animali e gli uccelli sono nazioni a sé stanti, comunità proprie, esattamente come gli umani (6:38). L’Islam quindi non respinge l’uguaglianza tra gli esseri umani e gli animali, mentre condanna l’uccisione di animali per sport, come evidenziato anche in alcuni hadith del Profeta.

La cucina tradizionale palestinese, del resto, è stata per lungo tempo principalmente vegetariana, anche vegana in larga misura, ma non è mai stata etichettata come tale.

In passato in Palestina il consumo di carne era basso ma, ancora prima che l’economia capitalista globalizzata contribuisse all’aumento della stessa, fu l’impero ottomano a decretarne la crescita, introducendola come cibo d’élite e facendo quindi presumere che chiunque avesse più denaro dovesse automaticamente consumare più carne.

Devastanti conseguenze dell’occupazione israeliana.

La Nakba, la catastrofe del 1948, portò all’esodo forzato di centinaia di migliaia di Palestinesi, diventati rifugiati sparsi in tutta la Palestina e nei Paesi limitrofi.

I profughi iniziarono a fare necessariamente affidamento su prodotti acquistati piuttosto che coltivati o prodotti in casa, e a dover contare sugli aiuti, anche alimentari, forniti dalle Nazioni Unite (UNWRA).

PAL - Palestinian Animal League

Si ritiene che la carne e il pesce in scatola siano stati introdotti dopo la Nakba proprio come cibo “di supporto” fornito dagli aiuti umanitari.

Non meno importante è ricordare come il popolo palestinese sia, suo malgrado, diventato sempre più disconnesso dalla propria terra a causa dei continui spostamenti forzati, del furto della stessa da parte dei coloni sionisti e degli alti costi richiesti in agricoltura. Costi dovuti al fatto che le risorse naturali dell’Area C, nella quale rientra l’oltre 60% della Cisgiordania dove sono situate la maggior parte di aree agricole e delle risorse idriche, sono nelle mani dell’occupante israeliano.

Alla luce di ciò, oggi la maggior parte dei Palestinesi considera la carne, specialmente la carne rossa, un alimento di lusso.

È obbligatorio servire carne agli ospiti a casa o al ristorante poiché è percepito come un modo per mostrare rispetto e generosità. In questo contesto, è raro trovare opzioni vegane come piatti principali nei menu dei ristoranti in Palestina. Per fortuna anche qui le cose stanno velocemente cambiando grazie a negozi che hanno introdotto cibi vegani e nuovi ristoranti che prendono in considerazione opzioni per vegani e vegetariani.

PAL - Palestinian Animal League

Gruppi ed organizzazioni vegane palestinesi

Fondamentale, per queste realtà, l’aiuto del gruppo noto come “Vegan in Palestine” che fornisce servizi di consulenza su come incorporare nei menu scelte più salutari e vegane. Il gruppo organizza anche cene ed eventi vegani con l’intento di creare uno spazio per le persone che condividono i loro stessi valori o sono interessate a saperne di più sulla filosofia vegana.

Straordinaria l’attività di “Plant the Land Team” un’organizzazione nata a Gaza la cui missione è quella di fornire cibo vegano alle persone che ne hanno bisogno. A causa del blocco economico israeliano, gli abitanti di Gaza non hanno accesso al cibo così come ad acqua pulita, elettricità, medicine, benzina, materiali da costruzione e tutte le altre vitali necessità. Il team di “Plant the Land”, supportato da realtà vegane internazionali, fornisce aiuti alimentari immediati a base vegetale e altre forme di aiuto di emergenza (insulina vegetale, cappotti e coperte invernali caldi, ricostruzione della casa, ecc.), lavorando anche per soluzioni a lungo termine come coltivare su terreni pubblici, costruire pozzi d’acqua nei villaggi e fornire alle persone strumenti per la coltivazione, con obiettivi a lungo termine di acquistare terreni da condividere con la comunità e aprire una scuola per insegnare ai bambini come coltivare, oltre che il rispetto per la terra e gli animali.

Da citare anche “Vegans for BDS” un gruppo di attivisti internazionali e palestinesi che lavora per promuovere il movimento di Boicottaggio, Disinvestimento e Sanzioni (BDS) guidato da palestinesi all’interno della comunità vegana per colpire specificamente con boicottaggi organizzati i marchi vegani che traggono profitto e collaborano con l’occupazione israeliana.

Il perché di una Palestina antispecista

Filo spinato

Sono 70 anni che i Palestinesi stanno combattendo contro l’oppressione, la violenza, lo sfruttamento e l’ingiustizia e che sperimentano sulla loro pelle e sulle loro vite le conseguenze di tale situazione.

Non è quindi così sorprendente che il movimento animalista e vegano sia in ascesa nei Territori Occupati e che la lotta per affermare i diritti degli animali abbia cominciato ad essere affiancata alla lotta contro quegli stessi sistemi e costrutti di potere responsabili dell’oppressione e della sofferenza di migliaia di esseri umani.

Più che mai, e più che in qualsiasi altro luogo, la Palestina e i Palestinesi sono l’esempio vivente di come la liberazione animale non possa essere separata dall’anticolonialismo, dall’antispecismo e dalla solidarietà per tutti gli oppressi e di come non ci si possa definire vegani se non si lotta contro qualsiasi tipo di crudeltà e sfruttamento.

Grazia ParolariInvictapalestina.org

26/11/2021 – GC

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