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I MOWGLI RITROVATI

Sui grandi schermi è da poco uscito il nuovo remake de “IL LIBRO DELLA GIUNGLA”. Come tutte le altre edizioni, sta riscuotendo molto successo e continua ad  affascinare, ma la curiosità che ha stimolato in noi di RadioVeg.it  è quella di sapere se nella realtà esistono, o sono esistiti, dei Mowgli.

La ricerca in rete è stata veloce perché siamo subito approdati al sito focus.it dove abbiamo trovato la risposta alla nostra curiosità.

Esiste uno studio sui bambini cresciuti allo stato brado senza alcun contatto con altri esseri umani, studio che ha portato gli scienziati a una conferma: “umani si diventa, non si nasce”.

Negli ultimi secoli sono stati circa 55 i casi di bimbi abbandonati o persi nella giungla che sono sopravvissuti e sono stati ritrovati dopo anni. Ovviamente i bimbi si erano adattati all’habitat selvaggio dove sono vissuti e dove sono cresciuti nutrendosi di foglie, erba, bacche, radici, uova di uccelli e piccoli animali, come insetti, rane e pesci, probabilmente aiutati da altri mammiferi. 

L’istinto primordiale ha guidato i piccoli Mowgli. Angelo Tartabini, docente di Psicologia evoluzionistica all’Università di Parma, sostiene che «È pensabile che alcuni animali tollerino la presenza di un piccolo della specie umana. Stando in contatto anche solo visivo con loro, un bambino può così individuare fonti d’acqua e di cibo, ripararsi la notte in luoghi caldi e sicuri».

Secondo gli studi del padre dell’etologia, Konrad Lorenz, il fatto che gli infanti della specie mammifera, ai quali noi esseri umani apparteniamo, siano paffutelli, con testa grande e rotonda e si muovano goffamente, inibiscono l’aggressività stimolando, al contrario, istinti protettivi anche nei confronti di cuccioli di altri. Dopotutto i cuccioli di uomo non sono troppo diversi da quelli delle scimmie e, come gli altri animali, possono anche subire un imprinting da parte della specie che li ha adottati, finendo per assomigliare ai nuovi “genitori” nei quali ha imparato a riconoscersi.

Vediamo però qualche caso di ragazzi cresciuti in habitat selvaggi.

Il primo risale addirittura al 1344 e si tratta di un bambino di circa 10 anni ritrovato fra i lupi da alcuni cacciatori e portato al principe d’Assia.

Uno dei casi che fece più clamore risale al 1798, quando un ragazzino selvaggio di 12 anni fu catturato nei boschi francesi dell’Aveyron. Era completamente nudo, mordeva e graffiava e, chiuso in una stanza, andava avanti e indietro come un animale in gabbia. Affidato a una vedova e poi a un naturalista, per ordine del ministero dell’Interno fu portato a Parigi e rinchiuso nell’Istituto per sordomuti, dove venne prelevato dal medico Jean Itard che ne tentò il recupero comportamentale e linguistico con scarsi risultati.

Un altro caso fu documentato nel 1920 in India dal missionario reverendo Joseph Singh. A seguito di alcune segnalazioni di contadini che riferivano di aver visto due bimbe fra i lupi, il reverendo si appostò su un albero fuori dalla grotta dove si sospettava si rifugiassero questi animali. Entrò nella grotta e trovò due bambine di 8 e un anno e mezzo circa che camminavano a quattro zampe, dormivano per terra, una sull’altra e non sopportavano i vestiti. Probabilmente non erano sorelle ed erano state abbandonate in momenti diversi, attirando poi l’interesse solo protettivo dei lupi dai quali appresero tutte le abitudini. La più piccola, Amala, morì presto di nefrite. La più grande invece, Kamala, visse altri 8 anni e imparò solo a pronunciare 50 parole, a comunicare con i gesti, a ridere e a giocare con altri bambini. Tanti, davvero tanti altri sono i casi, e tanti inventati, che potremmo raccontare: quello del ragazzino di circa 15 anni, avvistato nei pressi di una mandria di bufali nel Parco nazionale Marahouè, in Costa d’Avorio; quello di John Sebunya in Uganda e di Bello in Nigeria, e ancora Ivan Mishukov che è vissuto due anni tra i cani tra i randagi della città in una Russia postcomunista dopo essere fuggito da una madre indifferente e un padre e così via.

A parte le conclusioni che trae l’articolo da cui abbiamo preso spunto per parlare di questo argomento, a noi viene spontaneo chiederci se si può davvero chiamare “recupero” lo sradicamento di questi esseri umani dal luogo dove sono cresciuti, ma, soprattutto saremmo curiosi di sapere se sono stati più felici tra i loro simili umani o tra la specie che li ha cresciuti.

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Milano, 07/05/2016 – GC 

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