AMBIENTENEWS

LA PRIMA CAUSA DI PERDITA DELLA BIODIVERSITA’

Risultano essere i campi coltivati e allevamenti intensivi la prima causa della perdita di biodiversità di Alessandra Tedeschi

La causa principale della perdita di biodiversità non è il cambiamento climatico, come fino ad oggi affermato, bensì il cambiamento di uso del suolo per convertire habitat naturali in campi coltivati e allevamenti intensivi. Il cambiamento climatico si piazza “solo” al quarto posto.

Ne da notizia un articolo pubblicato su Kodami.

Lo studio che ribalta la prospettiva

La biodiversità sta diminuendo rapidamente, un milione di specie animali e vegetali sono minacciate di estinzione. Fino ad oggi molti ricercatori si sono concentrati sul contrasto al cambiamento climatico definendolo la principale causa di perdita di biodiversità.

Ma un recente studio ribalta completamente la prospettiva.

Il nuovo studio pubblicato su Science Advances da un team di ricercatori dell’Instituto Multidisciplinario de Biología Vegetal (IMBIV) di Córdoba, in Argentina, ha infatti scoperto che la principale causa diretta della perdita di specie animali e vegetali è il cambio dell’uso del suolo per trasformare ambienti naturali in campi coltivati e allevamenti intensivi.

allevamento intensivo esterno

Nello specifico, secondo lo studio, solo negli ultimi quattro decenni, le popolazioni di mammiferi, uccelli, pesci, rettili e anfibi che gli scienziati hanno monitorato sono diminuite in media di due terzi. Una situazione drammatica cui occorre porre rimedio prima che sia troppo tardi.

Scala delle cause della perdita di biodiversità

  • 1 – La più importante causa diretta di perdita della biodiversità a livello mondiale negli ultimi decenni è stato dunque il cambio di uso del suolo e del mare.
  • 2 – Al secondo posto nella lista c’è lo sfruttamento diretto di piante e fauna selvatica attraverso la pesca, il disboscamento e la caccia.
  • 3 – Al terzo troviamo l’inquinamento.
  • 4 – Al quarto posto si piazza il cambiamento climatico.
  • 5 – In quinta posizione troviamo, invece, l’introduzione di specie esotiche invasive. E’ però doveroso sottolineare che questo problema è stato classificato secondo negli oceani.

Infatti, le minacce alla biodiversità degli oceani, secondo gli studiosi hanno una classifica diversa rispetto a quella di terra e acqua dolce, e la più grande perdita diretta di biodiversità in acqua salata è dovuta allo sfruttamento delle specie ittiche, per lo più per colpa dalla pesca.

Non solo cambio di uso del suolo o cambiamento climatico dunque, ma più cause di diversa rilevanza che, concatenate, hanno importanti relazioni di dipendenza le une con le altre. Occorre pertanto avere una visione d’insieme per capire e contrastare il fenomeno.

Nonostante ad oggi il cambiamento climatico sia al quarto posto, gli scienziati temono che ben presto il suo impatto sulla flora e sulla fauna sarà talmente grande da salire velocemente fra le prime posizioni della classifica. 

La crisi climatica nota già nel 1800

Il problema dell’influenza sul clima dei gas serra era conosciuto dagli scienziati già dal 1800. L’effetto serra è stato teorizzato per la prima volta nel 1822 da Jean Baptiste Joseph Fourier, matematico e fisico francese, nel libro “Teoria analitica del calore”.

Nonostante ciò abbiamo impiegato decenni per iniziare a sviluppare le prime politiche di contrasto all’effetto serra.

Anche le soluzioni alla crisi climatica sono relativamente note da anni, così come evidenziato nel nuovo studio dallo stesso team di ricerca argentino.

Secondo gli scienziati è necessario ridurre rapidamente la nostra dipendenza collettiva dai combustibili fossili e aumentare la transizione verso forme di energia rinnovabile. Bisogna anche fornire sostegno a quelle nazioni che attualmente già risentono dei gravi impatti del cambiamento climatico e che non possono con i loro mezzi far fronte a un rinnovamento così dispendioso.

Anche se oggi le politiche per abbattere le emissioni di CO2 aumentano sempre più, evidentemente le misure prese non sono sufficienti perché la fauna selvatica, costretta in spazi sempre più piccoli, continua a diminuire rapidamente.

Proprio in questi giorni (6 novembre – 18 novembre) si sono tenuti in Egitto gli importanti incontri fra nazioni per discutere la crisi climatica: la COP27, la conferenza delle Nazioni Unite. Leader mondiali, responsabili politici, scienziati e giovani attivisti si sono riuniti per visionare i risultati ottenuti dopo la Cop26 dello scorso anno tenuta a Glasgow. L’emergenza ambientale e le sue cause sono tra i temi più discussi.

Ma discuterne servirà davvero a qualcosa o rischia di farci perdere altro tempo?

Secondo uno studio pubblicato su Nature ci mancano meno di 80 anni prima che la perdita di biodiversità sia irreversibile.

Alessandra Tedeschi

Milano, 22/05/2023

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