Meat sounding imbavagliato
Unione Europea mette al bando i termini che ricordano prodotti carnei – Articolo di Miguel Angel Beso
E dopo la guerra al “formaggio vegano” ora sotto attacco è il “veg burger”e in generale tutti i termini che ricordano i prodotti di origine animale, ovverosia il “meat sounding”.
Il Parlamento Europeo ha infatti approvato un emendamento che rischia di cambiare radicalmente il linguaggio del mercato alimentare a base vegetale: d’ora in poi, termini come “burger”, “salsiccia”, “steak” potrebbero diventare illegali.

Cos’è successo
Con 355 voti a favore e 247 contrari, l’emendamento, parte di una revisione normativa più ampia, propone di dare un giro di vite al meat sounding e riservare le denominazioni legate alla carne solo ai prodotti di origine animale al fine di
“Proteggere i produttori agricoli da una concorrenza percepita come sleale e migliorare la trasparenza nelle etichette”.

Ora la norma passerà al vaglio dei successivi negoziati tra Parlamento, Commissione e Stati membri.
Come successo con il formaggi vegani, è chiaro che il divieto al meat sounding non è solo una questione semantica.
I termini come “burger vegetale”, “salsiccia vegana” o “steak di soia” fanno da ponte con il consumatore onnivoro, è un modo per proporre un’alternativa concreta e gustosa alla carne.
Eliminare questi riferimenti potrebbe rendere più difficile il passaggio di chi sta cercando alternative, soprattutto in fase di transizione.
In tanti, nel nel mondo vegan, sperano che questa decisione aiuti a staccare completamente il modello vegetale da quello modello carnivoro, d’altro canto c’è chi invece ritiene che questa sia una una visione idealistica.
Se il termine “burger” è tanto potente, è anche perché il mercato e l’industria della carne hanno esercitato pressioni per toglierlo proprio lì dove comincia il cambiamento.
Possibili rischi
Non avendo più un nome immediatamente riconoscibile, da qui il termine inglese “meat sounding”, il consumatore potrebbe fare fatica a interpretare e riconoscere prodotti alternativi. Noi vegani siamo abituati a leggere le etichette, ma gli altri?
Chi è curioso, ma insicuro, non avrà più quel “nome famigliare” come ponte e ciò potrebbe vanificare la possibilità di acquisto.

Le piccole aziende plant-based con risorse limitate saranno costrette a un costoso rebranding con il rischo che si penalizzi l’innovazione.
Essendo questa misura più difensiva che pro‑consumatore, è palese che si tratta di un’operazione ideologica che favorisce la lobby della carne.
I termini legati ai prodotti plant based che ricordano quelli di origine animale sono in uso ormai da decenni, l’idea di proibirli è un chiaro segnale.
Non si tratta solo di chiarezza, ma è una battaglia culturale.
Se il “burger vegetale” viene criminalizzato, la redditività, la familiarità e l’accessibilità di molti prodotti saranno messe in discussione.
Un divieto, insomma, che potrebbe diventare strumento per rallentare la rivoluzione plant-based.
E adesso?
L’emendamento dovrà passare allo stadio successivo, con margini di negoziazione, quindi uno spiragli di speranza ce lo possiamo concedere. È infatti possibile che alcuni Stati aderiscano con riserva, mentre può succedere che altri lo blocchino. Probabilmente non sarà l’Italia a bloccare l’emendamento essendo il nostro paese ancora troppo legato a “tradizioni alimentari” che mettono lo sfruttamento animale in primo piano.
Purtroppo il mondo delle start-up agroalimentari dovrà prepararsi a scenari più rigidamente normati.
Per noi vegani cosa cambia?
Presumibilmente poco: continueremo a chiamare questi prodotti come più ci piace, proseguiremo con la nostra sana frugalità mettendo ancora di più al primo posto l’autoproduzione casalinga.
Milano, 15/10/2025 – Miguel Angel Beso
