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COSA MANGIAVA LA MUMMIA DI OTZI

Cosa mangiava la mummia di Otzi

Era una giornata di settembre del 1991 e due escursionisti videro, sulle Alpi Venoste, in località Giogo di Tisa, un corpo che affiorava da una conca di scioglimento dei ghiacci. Scattarono alcune foto e, scesi a valle, avvertirono le autorità, convinti di aver visto i resti di un alpinista caduto in disgrazia.

Questa, in sintesi, la storia del più grande ritrovamento archeologico della storia.

La datazione al Carbonio 14 ha permesso di stabilire che Otzi apparteneva all’Età del Rame e che stesse percorrendo quella via circa 3300 anni prima della nascita di Cristo.

Non sappiamo chi fosse né quale ruolo sociale ricoprisse; gli scienziati hanno però stabilito che morì per una ferita inferta con una freccia e che qualche giorno prima aveva subito un’aggressione.

Ciò che ci interessa è cosa aveva con sé e cosa conteneva il suo stomaco. Una serie di eventi climatici e fortuiti ha infatti consentito il ritrovamento del corpo in ottimo stato di conservazione.

Il Prof. Oeggl, uno dei massimi esperti di Otzi, ha ricostruito gli ultimi tra pasti: resti di cerali consumati presumibilmente sotto forma di pane, in particolare le varietà principali che facevano parte della prima ondata di specie coltivate: orzo comune e farro piccolo (Triticum monococcum). Ötzi aveva con sè più monococco che farro dicoccum (coltivato nelle aree circostanti) e questo fa pensare che arrivasse da altre zone del nord italia.

 Tutto il cibo di Ötzi conteneva sporangi (le capsule che contengono le spore) di felci, pianta cancerogena comunemente utilizzata. I nativi americani  e i giapponesi consumano i germogli, un po’ come si fa con gli asparagi. Le felci sono sempre state usate per impacchettare e conservare. Oggi sono usate per  confezionare il formaggio biologico. Le spore dovevano far parte della dieta e molto probabilmente furono ingerite con un liquido. Le analisi più recenti hanno rivelato che Ötzi bevve un estratto di felce, o forse utilizzò queste fronde come colino per filtrare una bevanda.

La sostanza, rispetto a quanto di nostro interesse, è che la nostra mummia si cibò dello stesso cereale che noi oggi pastifichiamo, il monococco, e che ne portava con sé una fascina per ridurre i chicchi in farina e poter realizzare una forma primitiva di pane o di semolino (quando poteva accendere il fuoco e cuocere).

Ora capite l’importanza dei cereali antichi? Non sono mai stati modificati geneticamente, hanno valori nutrizionali importanti (il monococco, per esempio, ha tra il 14% e il 19% di proteine e contiene un amminoacido essenziale per la dieta vegetariana o vegana: la lisina, precursore del collagene), e hanno segnato l’alimentazione dei nostri avi. E’ facile convenire sul fatto che un frumento nato nel 1915 non può essere considerato antico; potremmo anche lasciare questa definizione ai più e, allora, definire arcaici i chicchi che anche Otzi prediligeva.

 

 
Monia Caramma   

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