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LE DONNE VEG DI AIDA – BLOOMER E PHELPS

Da quando noi donne abbiamo la libertà di portare i pantaloni in pubblico e in casa senza dare scandalo, rischiare il divorzio o l’arresto?
Da molto meno di quanto non si pensi…

Fino al 1993, negli evoluti Stati Uniti, non si poteva accedere al Senato con i pantaloni, se si era donne. La legge fu cambiata solo quell’anno, dopo essere stata apertamente sfidata da due senatrici.
La stessa Hilary Clinton fu la prima First Lady  a indossare i pantaloni in un ritratto ufficiale.
Chi dobbiamo ringraziare se possiamo indossare questo capo di abbigliamento e muoverci liberamente?
Coco Chanel, ci dicono gli stilisti.  Marlene Dietrich ci dicono i fan del cinema.
Sono queste due dive che hanno reso i pantaloni un abbigliamento alla moda per le donne occidentali.
Vero, verissimo.

Ma chi, quasi un secolo prima,  ha lottato apertamente contro l’establishment, chi ha subito la beffa di amici e mariti, chi ha  sfidato la società maschilista e le LEGGI del tempo, pur di potersi vestire finalmente COMODA,  libera da pesi e da corsetti?
Fu una donna vegetariana.

Si chiamava AMELIA BLOOMER e questa è la sua storia.
Nata nel  1818 a New York,  all’età di 31 anni Amelia era la prima donna a possedere e gestire una rivista tutta al femminile, il primo mensile che parlava ufficialmente dei diritti delle donne.
Si chiamava “The Lily”, il giglio, il fiore della purezza.

Fu proprio attraverso questa rivista che Amelia suggerì alle donne di utilizzare vestiti meno restrittivi e che scoppiò la moda dei pantaloni alla zuava, o meglio, dei pantaloni alla “Bloomer”, come venne presto soprannominato questo capo di vestiario.

Ecco direttamente le sue parole in merito:
I vestiti delle donne dovrebbero essere adatti ai loro desideri e necessità. Dovrebbero condurle alla salute, dare loro confort e utilità e anche se non dovrebbero mancare di servire da ornamento, quel fine dovrebbe essere di secondaria importanza”.
The Bloomer consistevano in pantaloni alla turca, portati sotto una gonna che arrivava circa a metà polpaccio. Queste donne non solo diedero scandalo, a livello morale, dato che lasciavano intravvedere le gambe e i piedi, ma furono ferocemente prese in giro.

Elizabeth Stanton, amica di Amelia e famosa attivista per i diritti delle donne, osò farsi vedere tra le prime in strada con i pantaloni sotto la gonna. Ecco la reazione della gente, descritta da un’amica che la stava osservando:
Stanton fu seguita da una folla di ragazzi che urlavano, cantavano e ridevano mentre ogni porta e finestra era una fila di teste che sbucavano fuori a osservarla. L’intera città fu risvegliata come mai prima di allora”.

Ma fu solo quando Amelia cominciò a portare i pantaloni, e parlarne con entusiasmo nella sua rivista, che questa moda prese piede.  Come scrisse a riguardo:  Appena si seppe  che io indossavo questo nuovo vestito, fui sommersa da lettere. Donne a centinaia mi chiedevano come cucire i pantaloni e questo mostra quanto fossero pronte e ansiose di liberarsi dalla pesantezza delle gonne lunghe”.

E quando si parla di pesantezza, si intende proprio quello.
Arrivavano anche a 6 kg le gonne del tempo, uno strato sopra l’altro, per ottenere l’effetto balze. Correre diventava impossibile ma anche fare le scale o muoversi con agio  o scappare, avessero dovuto farlo, era difficile. Non di rado le donne svenivano o si sentivano mancare letteralmente il fiato.
Ma c’era molto di peggio, oltre alla scomodità e mancanza di libertà nel muoversi.
Molte erano  le ragazzine che morivano arse vive, perché queste ampie gonne prendevano fuoco vicino ai caminetti o alle candele, e ci voleva troppo tempo per liberarsene.

Amelia Bloomer, bella comoda con i suoi bei pantaloni alla zuava, se ne andò anche a fare un tour per tutti gli Stati Uniti, una delle prime donne sposate a parlare in pubblico in alcuni di questi stati, e non poche erano le donne che andavano a sentirla, anche se a volte erano volte più attratte da quello che indossava, che non da  quello che aveva da dire.
Già quello era rivoluzionario infatti.
Indossare i pantaloni significava sfidare l’autorità maschile, in un’epoca dove i mariti avevano potere totale sulle mogli, con tutte le conseguenze nefaste del caso.
Molti uomini del tempo infatti non sopportarono di vedere le donne con i pantaloni.

Anche le femministe più battagliere,  come Elizabeth Stanton, dovettero rinunciare a portarli dopo un primo periodo, proprio per cedere alle richieste del marito, preso in giro da molti compagni per avere una moglie “che portava i pantaloni”.

Nelle cartoline e vignette satiriche del tempo si vedono donne con i pantaloni che fumano e bevono whiskey, che si inginocchiano per chiedere agli uomini di sposarli o che leggono il giornale mentre il marito si occupa dei bambini in casa. Secondo gli uomini, una donna con i pantaloni diventava immediatamente “immorale”.

Amelia reagì alle critiche maschili  dicendo queste semplici parole: “Lasciate che gli uomini siano costretti a portare i nostri vestiti e li dovremmo sentire presto  chiedere un cambiamento, tanto ad alta voce quanto adesso lo stanno condannando”.

Amelia Bloomer, dicevamo, era vegetariana, come tante attiviste del tempo per i diritti delle donne.
C’è però un’altra donna vegetariana che dobbiamo ringraziare per aver spezzato  un’altra moda terribile, quella dei corsetti, che deformavano letteralmente i corpi delle donne, creando bacini così stretti da rendere difficile il respiro, e causando grandi problemi anche al feto e durante la gravidanza.
I corsetti venivano indossati già da ragazzine, anche di notte, causando ogni sorta di sofferenza a queste ragazze, ben descritte in molti diari ritrovati dell’epoca.

La donna che aggiunse la sua voce per la liberazione dal corsetto, insieme a tante altre, si chiamava Lilli, come il giornale di Amelia. Il suo nome per intero era  Elizabeth Phelps-Ward,  un’ autrice americana di romanzi  di fine 1800.

Bruciate i corsetti!” scriveva nei suoi libri. “Non avrete più bisogno di ossa di balena!  Fate un falò dell’acciaio  crudele che ha pesato sul  vostro torace e addome per così tanti anni e tirate un sospiro di sollievo, perché la vostra emancipazione, vi assicuro, è cominciata in questo momento”.

Era il 1874.

Dovettero passare altri 70  anni prima che le donne cominciassero realmente ad apprezzare i vantaggi del poter indossare i pantaloni,  senza che gli uomini avessero più niente da ridire. Già a fine 1800 però le donne sportive li indossavano ormai abitualmente, sotto la gonna, o portavano gonne che si aprivano a pantalone, per poter andare in bicicletta e conquistare un pezzo di libertà.

E tornando a Lilli Phelps e alle lotte per la libertà.
Uno di suoi romanzi si intitolava Trixy.
Racconta la tragica storia vera di una cagnolina molto amata, che si era smarrita, e che poi si ritrova in una clinica, tra medici vivisezionisti freddi e crudeli, e non serve aggiungere altro.
La vivisezione era, secondo Lilli, “Un peccato contro lo Spirito della Compassione”.
Il libro fu pubblicato nel 1904 e fu una chiara polemica contro l’insensibilità di questi medici verso un essere vivente e le sue sofferenze. Ancora una volta, le donne che lottavano per i diritti delle donne erano molto spesso le stesse che lottavano anche per i diritti degli animali, perché era impossibile non vedere il nesso tra le due violenze, quando si aprivano gli occhi.

Ringraziamo quindi queste due donne vegetariane del passato, Lilli e Amelia, e pensiamo a quante donne ancora, per cultura o religione, non possono ancora vestirsi come vogliono,  spogliarsi quando fa caldo
(o coprirsi quando invece vengono costrette a spogliarsi) e pensiamo quanto c’è da fare ancora per loro e anche contro la vivisezione e i diritti degli animali.
Mettiamoci dei bei vestiti comodi e continuiamo ad attivarci  per queste ed altre battaglie.

Vi lascio con una frase di Elizabeth Phelps:
Io credo nelle donne e nel loro diritto alle loro migliori possibilità in ogni dipartimento della vita. Io credo che il modo di vestirsi in voga tra le donne sia un marcato impedimento per la realizzazione di queste possibilità e dovrebbe essere criticato fino a sparire da questa società”.

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